Donne e avvocatura: breve storia della nascita delle ‘toghe rosa’
La lotta a stereotipi e pregiudizi ha riguardato, e in parte continua a riguardare, anche il binomio donne e avvocatura.
Per secoli sognare di diventare avvocato era consentito soltanto agli uomini; per le donne si trattava di un sogno irrealizzabile, proibito dalla legge e dalla comune morale.
Anche se attualmente in Italia hanno praticamente conquistato la parità numerica per quanto riguarda il numero degli iscritti agli albi forensi, le avvocate hanno dovuto faticare parecchio prima di poter accedere alla professione legale.
In alcuni paesi, ancora oggi, le donne combattono la battaglia per ottenere un riconoscimento nell’ambito dell’avvocatura.
In questo post l’università telematica Niccolò Cusano ripercorre le principali tappe storiche che hanno contrassegnato la nascita delle cosiddette ‘toghe rosa’.
Buona lettura!
Avvocati donne: i casi che hanno portato alla nascita delle toghe rosa
Fin dall’antichità la carriera forense era riservata agli uomini.
Nell’Antica Roma, ad esempio, non esisteva alcuna legge che vietasse espressamente alle donne la pratica della professione; eppure i giuristi erano esclusivamente di sesso maschile.
La possibilità di una donna giurista era talmente assurda che per il divieto non era necessaria alcuna legge ufficiale.
Eleonora d’Aquitania
Il primo caso famoso di arbitrato femminile, che viene tutt’oggi ricordato, è quello legato alla figura di Eleonora D’Aquitania.
La sovrana fu incaricata di decidere in merito ad una lite in materia di usufrutto di un terreno, una controversia che coinvolgeva da un lato i Cistercensi e dall’altro gli Ospitalieri della diocesi di Sens.
A convalidare l’arbitrato fu Papa Innocenzo III, il quale ne riconobbe la legittimazione sulla base della consuetudine che in Gallia prevedeva la giurisdizione delle donne eminenti sui propri sudditi.
La decisione fu successivamente impugnata dagli ‘sconfitti’ Ospitalieri, i quali la ritennero non valida in quanto assunta da una donna.
Giustina Rocca (1500)
Il primo nome di donna legato in senso stretto al mondo giuridico è quello di Giustina Rocca, la quale nel 1500 pronunciò una sentenza arbitrale in lingua volgare al cospetto del governatore veneziano di Trani, Ludovico Contarin.
La nobildonna, in possesso di un’ottima preparazione giuridica, fu scelta come avvocato di una controversia relativa a questioni ereditarie.
La sua fama come avvocatessa ha scritto un pezzo di storia per quanto riguarda il mondo dell’avvocatura al femminile.
Maria Pellegrini Amoretti (1777)
Un altro caso è quello di Maria Pellegrina Amoretti, che nonostante la sue eccellente preparazione fu rifiutata dall’Università di Torino; la sua domanda di laurea fu invece accolta dalla Regia Università di Pavia, grazie alla presentazione dell’Abate Luigi Cremani, professore di legge.
Il 25 Giugno 1777 riuscì finalmente a conseguire la laurea in diritto civile e canonico.
Nello stesso anno le sue tesi furono pubblicate e molti poeti, ispirati dall’accadimento, realizzarono numerosi componimenti in suo onore; tre le opere emerge ‘La Laurea’ di Parini.
Con il regolamento generale ‘Bonghi’, nel 1875 venne finalmente previsto l’ingresso delle donne all’università.
Grazie alla storia di Maria Pellegrini Amoretti un primo passo verso la parità era stato fatto, anche se per l’iscrizione della prima donna all’albo degli avvocati bisognerà attendere ancora molto tempo.
Lidia Poet (1883)
Nel 1883 Lidia Poet riuscì a conseguire, con il massimo dei voti, la laurea in Giurisprudenza e a svolgere successivamente il praticantato forense presso lo studio legale del fratello; riuscì anche ad ottenere l’iscrizione all’albo professionale salvo poi assistere all’annullamento, stabilito dalla Corte di Appello di Torino e confermata dalla Corte di Cassazione in seguito al ricorso presentato da alcuni esponenti della categoria maschile.
Le ragioni per le quali le donne dovevano essere escluse dalla pratica forense erano prevalentemente legate alla ‘non integra responsabilità giuridica e morale, nell’indole delle donne più propensa al sentimento che al pensiero’.
Tra le motivazioni più assurde, oltre ad un’incapacità naturale a esercitare la professione, fu addotta quella dell’abbigliamento femminile, sconveniente sotto la toga.
Il caso provocò l’apertura di un dibattito, anche a livello parlamentare, che portò all’emanazione della legge n. 1176 del 17 luglio 1919 (Legge Sacchi).
All’articolo 7 viene stabilito che: “ le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni e a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici e giurisdizionari o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengono alla difesa militare dello Stato secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento.”
Come vedremo per i successivi casi di ‘donne in toga’, pur trattandosi di un diritto scritto su carta, nelle aule dei tribunale le toghe rosa continuarono ad essere guardate con diffidenza.
Elisa Comani (1919)
Nel 1919 Elisa Comani riesce ad ottenere l’iscrizione all’albo degli avvocati di Ancona, diventando così la prima donna avvocato in Italia.
Nonostante i commenti negativi e sarcastici della stampa, che la definì una ‘sirena in décolleté’, riuscì nel corso della sua carriera ad ottenere incarichi importanti.
Il suo esordio ufficiale in qualità di avvocato, nell’ambito del processo di Villarey (1920), fu raccontato dalla stessa Comani alla rivista ‘La donna’.
All’interno del tribunale di Ancona lo scetticismo dei presenti era palpabile; sorrisi e sguardi increduli avevano accolto la figura di un avvocato donna.
Il caso riguardava la difesa di un soldato accusato di codardia.
Davanti alla Corte l’arringa dell’avvocatessa, appena ventottenne, fu precisa e professionale; durò più di un’ora e costrinse i presenti a ricredersi e ad abbandonare il giudizio scettico con il quale avevano accolto la ‘novità’
Donne e avvocatura in Europa
In Europa la situazione non fu molto diversa.
Nel Regno Unito le donne furono ammesse agli studi di diritto nel 1873, in Francia nel 1887, negli Stati della Germania tra il 1900 e il 1908.
Bisogna però precisare che l’ammissione agli studi non coincideva con la possibilità di potersi laureare, per la quale bisognerà attendere l’anno 1917 per il Regno Unito e l’anno 1912 per la Germania.
La situazione attuale
Secondo alcune indagini statistiche condotte da AlmaLaurea la professione di avvocato è intrapresa maggiormente dalle donne; le ultime percentuali forniscono un quadro che vede il 58% appartenere alle donne e il 32% agli uomini.
Per quanto oggi le avvocate abbiano ottenuto la parità sussiste ancora una sorta di retaggio discriminatorio, legato principalmente all’apparente incompatibilità tra il ruolo professionale e quello di mamma.
La legge, a tal proposito, ha fatto alcuni importanti passi avanti.
La legge di Bilancio per il 2018 ha disciplinato il ‘legittimo impedimento’, che prevede per le donne avvocato la possibilità di chiedere rinvii di udienza e decorrenza dei termini in caso di gravidanza, per il periodo che va dai due mesi precedenti la data presunta del parto fino ai tre mesi successivi.
Attualmente i pareri sulla preparazione giuridica sono alquanto contrastanti; i più estremisti sostengono addirittura che la laurea in Giurisprudenza sia alquanto inutile, o comunque poco promettente ai fini di una carriera di successo nell’ambito forense.
In realtà c’è da dire che oggi i corsi di laurea in Giurisprudenza garantiscono una preparazione decisamente più versatile di quella che caratterizzava i percorsi universitari di qualche decennio fa.
Il know how giuridico può quindi essere speso in numerosi contesti del mercato e non soltanto nell’ambito delle tradizionali professioni legali.
Tra i corsi più attuali e rispondenti alle esigenze del mercato rientra il corso di laurea in Giurisprudenza attivato dall’università telematica Niccolò Cusano.
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